OVERLOVE, prospettive celesti, stanze segrete e piccoli big bang

Esiste una stanza immaginaria colma di cose che si pensa di non avere. Si chiama la stanza delle cose impensabili. Nella sua c’era l’ombrello rosso prestato da Carmine prima di una delle tante mancanze. Ogni volta che s’incontravano, pioveva: a lui piaceva e a lei no.

Ci sono entrata nei primi di novembre, nella stanza di Overlove. Mentre se ne andava Leonard Cohen, mentre trasmettevano gli episodi centrali di The Young Pope e la gente tornava a dondolarsi sulle note di “Senza un perché” di Nada, mentre si discuteva ancora per il o per il noOverlove è un luogo, oltre ad essere un romanzo. Una stanza spaziosa colma di cose che si pensa di non avere, e come lettore te ne accorgi alla fine, di tutte queste cose che hai scoperto. Oggetti dimenticati che appartengono al personaggio di Anna, motivi, ricordi, dettagli e oggetti tuoi, tra i suoi. Overlove è un luogo intimo, una stanza in cui i rintocchi del tempo sono voci che parlano una lingua che rende vivo ciò che pronuncia, ma che non usa zolle di parole. Gioca per sottrazione, trasformando la mancanza in presenza, in un over che trasborda come un amore troppo intenso ma che non sa riempire i vuoti.

Se all’amore aggiungi una consonante, la t, diventa morte ma non dura per sempre. Le parole contengono dei ventagli che nascondono la verità. La t di morte è il ventaglio dell’amore. L’amorte.

Ci sono tanti modi di amare e di morire d’amore nei personaggi di Overlove.

Over-love: “Non abbastanza, quindi troppo. Troppo amore non è abbastanza amore”

Anna e Carmine si sono amati, si sono mancati e si sono mancati per un soffio, come se la loro distanza fosse vivere l’una alle spalle dell’altro, sulla stessa moneta, destinati a stare insieme ma su due poli opposti, fino a separarsi.

Lui, Carmine Alfieri, cantante di una band, composta solo da lui.

I Miamai sono un complesso formato da una sola persona. Carmine è il primo e l’ultimo membro della band a salire sul palco, a suonare, a cantare, a comporre le canzoni, a rilasciare interviste, a prendersi gli applausi e anche i fischi”.

Miamai”, una band, un solista, un pluralia tantum. Una parola plurale che in realtà è un singolare. Un riflesso del plurale sociale di oggi, dell’uomo plurale, che vive su mille livelli di realtà, su mille what if, spesso incapace di scegliere. Al contrario di lei, Anna Dellera, ereditiera di un fallimento familiare e finanziario, in piena crisi, bisognosa di un sé singolare in grado di tenerne salda l’interezza quando il suo mondo crolla, quando la mancanza di stabilità diventa una distanza affettiva.

I ricordi di lei erano farfalle che ronzano intorno alla lampadina – insistenti – e una volta raggiunta la luce si elettrizzano e muoiono. E muoiono felici e innamorate. Simili a bambini che non conoscono l’amore, non sanno di provarlo, fino a quando non diventano grandi, e lo perdono. La mancanza che nutre l’amore.

Se la mancanza avesse un colore sarebbe blu. Come la voce di Alessandra Minervini, come la sua scrittura: evocativa, nostalgica e come il blu, tendente alla trasformazione. La lingua si trasforma, cambia tempo e percezione, come il narratore che a volte diventa Anna stessa. Come il presente che ogni tanto si insinua e si fa posto sul passato (e il passato è raccontato al presente). Come la musica.

Come poteva una canzone sulla mancanza di amore essere diventata un inno all’abbondanza, anche spicciola, di amore?

Overlove è un disco, lo è davvero, sia all’interno della storia (è il disco dei Miamai) che nella nostra esperienza privata di lettura. Come la musica, suona un suo linguaggio. Ogni capitolo è una traccia che hai voglia di ascoltare di nuovo, perché come nella musica, la potenza sta nell’intervallo tra i suoni, tra le pause, tra le note che prendi e che rileggi.

A Taranto la luce naturale era scomparsa, offuscata dalle ombre dei palazzi, delle macchine, delle pietre. Molte pietre. Una sull’altra. Le vedevo ovunque. Arrivano fino al cielo. Pietre al posto delle nuvole, una prospettiva celeste all’incontrario. Il punto più alto della città era il punto più basso dell’umanità. Il fumo rosso che accomuna e livella.

E poi c’è la Puglia, una cartolina strappata, lontana da stereotipi allegri e soleggiati ma sfumata dalla polvere, dalla bauxite che crea bellezza inutile e dal colore della carne dei suoi personaggi, tanto che ci si chiede se sia il luogo ad adattarsi a loro, prendendone le sembianze, o se invece succede l’opposto, cioè sono i personaggi ad esserne inevitabilmente il riflesso (“Picasso diceva che siamo ciò che conserviamo”).

Una delle bellezze di questo luogo dopo quelle abusate, i trulli, le chiese, le frise, le spiagge, la pizzica, è la cava di bauxite. La bauxite è il materiale da cui nasce l’alluminio. La cava non è segnalata sulle guide ufficiali. Gli informatori turistici non conoscono la strada. La cava è fuori uso. Tecnicamente è una cosa rotta. Non serve a nulla. Non ci puoi fare l’alluminio. Non ci puoi fare il bagno. Ha l’aspetto di un lago ma non lo è. È un deposito acquifero naturale. Un luogo inutile come solo la bellezza sa essere. Chi ci arriva, di solito con qualcuno che conosce la zona, capirà. Non è difficile. Capire. Ciò che ora è finito, ha avuto inizio in quel luogo.

Di solito, di un incipit mi piace la capacità di mescolare inizio e fine.

Quando si scrive – nel momento in cui inizi – la storia è già finita. Lo scrittore penetra il mistero delle cose senza risolverle.

Quel mistero delle cose irrisolte, che è un po’ come guardare le stelle, un po’ come pensare al big bang, significa Bellezza. Quella vera, inutile, a volte offensiva, una “ferita, rossa e viola, pericolosa”. Come quella cava, ex cava, “un paradiso con l’estetica dinamica dell’inferno”. Come Tess, dalla bellezza spietata, distante. Come Anna.

Tess ha una bellezza fuori controllo. Non risponde agli ordini. Esegue ruote barocche solo quando ne ha voglia. La sua vanità è sottovalutata: non è la bellezza a distinguerlo dal resto del mondo animale, ma la sua imperturbabilità.

Overlove, edito da LiberAria, non è solo il romanzo di esordio di Alessandra Minervini. È una voce nuova e potente, giovane e in divenire. Una Puglia con una prospettiva celeste all’incontrario, una storia che parla di stanze colme e vuote, di esseri plurali, di assenze e mancanze presenti in tutti noi. L’ho letto durante l’autunno, ma lo consiglierei anche contro il freddo dell’inverno e soprattutto durante quelle mezze giornate o doppie nottate in cui si attende il nuovo anno e ci si interroga sui propri se e i propri mai.

lp



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